L’infezione rappresenta la più grave complicanza di una protesi articolare. La sua incidenza varia, a seconda della sede (anca, ginocchio, spalla ecc.) e anche delle diverse statistiche, dallo 0,6% al 4,5% dei primi impianti, con un deciso ulteriore incremento nelle revisioni. La diagnosi d’infezione protesica non è sempre facile ed è la conclusione di un percorso multimodale, che si articola nella fase anamnestico-clinica, la valutazione degli indici bioumorali di flogosi e le tecniche d’immagine (dalla radiografia tradizionale alla scintigrafia trifasica e con granulociti marcati, la SPECT, la PET, ma soprattutto l’ecografia). In realtà risulta di fondamentale importanza, non solo per la conferma diagnostica, ma anche per un corretto trattamento antibiotico generale e locale, l’identificazione del o dei batteri responsabili; dunque è preponderante il ruolo dell’agoaspirazione articolare, il cui valore è arricchito dalla conta dei polimorfonucleati nel liquido sinoviale. Le opzioni di trattamento sono molteplici e hanno ciascuna un razionale di indicazione, che tiene conto delle condizioni fisiche, generali e locali, ma anche di quelle psicologiche del paziente, nonché della virulenza e resistenza del o dei patogeni responsabili, senza dimenticare che la mancata identificazione del batterio costituisce di per sé fattore di gravità per l’ovvia impossibilità di instaurare una terapia antibiotica sistemica mirata. Schematicamente il trattamento dell’infezione protesica può essere condotto con: a) sola terapia antibiotica, che, anche se mirata, non ha prospettive di successo per l’eradicazione della malattia; b) debridement e terapia antibiotica, efficaci nell’80% dei casi, se eseguiti entro 5 settimane dall’impianto; c) rimozione della protesi e sostituzione in un solo tempo (ONE-STAGE), che presuppone l’identificazione preventiva del patogeno, per poter impiegare per il reimpianto protesico cemento addizionato con antibiotico specifico mirato; d) rimozione della protesi e impianto di SPAZIATORE ANTIBIOTATO, fissato anch’esso con cemento caricato di adatti antibiotici, con reimpianto protesico, generalmente non cementato, a distanza di 8-12 settimane dall’espianto (TWO-STAGE). Nel postoperatorio, in entrambe le metodiche (c e d), la terapia antibiotica sistemica, possibilmente mirata, deve essere protratta per almeno 6-8 settimane, dapprima per via endovenosa, poi con somministrazione orale; e) rimozione protesica senza reimpianto: appoggio libero per l’anca (Girdlestone) e artrodesi per il ginocchio, da riservare ai casi di recidiva su pregressa revisione o a pazienti con condizioni generali molto compromesse; f) terapia antibiotica “soppressiva”, da riservare ai pazienti che non possono o non vogliono sottoporsi a impegnativi “percorsi” chirurgici e nel contempo sono affetti da infezioni protesiche non molto dolorose. Le diverse classificazioni proposte costituiscono una guida alla scelta del trattamento e rimane ancora valida quella di Tsukayama, che distingue le infezioni protesiche in acute, ritardate e tardive. Deve essere valutata anche la “geografia” della localizzazione infettiva. Per quanto riguarda il trattamento chirurgico, un discorso parzialmente differenziato merita l’infezione protesica di spalla, in cui soprattutto il reimpianto protesico risulta ancora difficile da classificare per quanto riguarda l’efficacia a distanza. In conclusione viene proposto un sintetico ALGORITMO di trattamento delle infezioni delle protesi articolari.