Il fissaggio esterno è un tipo di osteosintesi caratterizzato dal fatto che l’impianto principale, la barra o le barre, è situato fuori dall’organismo. L’impianto principale è collegato all’osso tramite fiche transcutanee. Il fissatore è detto monoassiale quando è compreso in un settore di meno di 90° rispetto all’asse longitudinale dell’arto. Questa tecnica si oppone alle vecchie tecniche di fissaggio esterno, che utilizzavano assemblaggi trafittivi o montaggi su più piani. Rispetto agli altri metodi di osteosintesi l’assenza di impianto interno a livello del focolaio riduce il rischio di infezione in situazioni a rischio (fratture esposte, pseudoartrosi settica). Il fissaggio esterno permette di stabilizzare rapidamente a focolaio chiuso le lesioni fratturative multiple; questo lo rende la tecnica privilegiata nel trattamento iniziale del paziente instabile in politrauma. Il metodo permette spesso una riduzione a focolaio chiuso e consente in ogni momento di adattare l’elasticità del montaggio, favorendo le migliori condizioni biologiche per la consolidazione ossea. Il fissaggio esterno permette una revisione di facile esecuzione in caso di riduzione iniziale imperfetta o di mobilizzazione secondaria. La tecnica consente di trattare le fratture epifisarie, in particolare le fratture comminute, tramite fissaggio epifisario o tramite by pass articolare con distrazione. Il principale inconveniente del fissaggio esterno è il rischio infettivo a livello delle fiche transcutanee, con perdita progressiva della loro capacità di ancoraggio. Tale rischio è tuttavia minimizzato da una tecnica rigorosa di posa delle fiche e da un accurato controllo nel postoperatorio. L’utilizzo di un fissatore esterno obbliga alla conoscenza degli elementi principali di stabilità degli impianti.