Una migliore comprensione dei meccanismi fisiopatologici consente oramai di individuare meglio la diversità
delle eziologie delle sindromi compartimentali acute che insorgono specialmente fuori contesto traumatico. L’espressione
clinica è univoca e qualsiasi rigonfiamento dolorante di un segmento di arto deve portare a una diagnosi di sindrome
compartimentale in virtù delle conseguenze funzionali potenzialmente gravi dell’evoluzione spontanea. Le circostanze di
insorgenza, il tempo trascorso dai primi segni, il ripetuto esame clinico, la misurazione delle pressioni nelle logge muscolari
sono criteri fondamentali per la diagnosi, il monitoraggio e soprattutto la decisione, sia che si tratti di un’indicazione
chirurgica di decompressione di emergenza, sotto forma di fasciotomie, oppure di misure provvisorie di conservazione nei
casi particolari di compressione prolungata o di notevole ritardo nella diagnosi. La sindrome compartimentale da sforzo
può talvolta rivelarsi sotto forma di sindrome acuta tale da comportare un intervento di emergenza o, più spesso, di
dolori cronici auto-limitanti al termine dello sforzo. In questi casi, la diagnosi, sospettata dall’anamnesi, deve essere confermata
da un test sotto sforzo seguito da prese di pressione intramuscolare. Il trattamento della sindrome compartimentale
cronica si basa come primo intervento su protocolli che rientrano nell’ergonomia. In caso di fallimento, il ricorso
a una decompressione chirurgica migliora notevolmente la sintomatologia ma lascia tuttavia persistere in molti casi
conseguenze funzionali.